sabato 28 aprile 2012

Spiritualità di un viaggio - The journey's spiritutality

"Muovendomi fra l'Asia e l'Europa in treno, in nave, in macchina, a volte anche a piedi, il ritmo delle mie giornate è completamente cambiato, le distanze hanno ripreso il loro valore e ho ritrovato nel viaggiare il piacere della scoperta e di avventura.
D'un tratto, senza più la possibilità di correre a un aeroporto, pagare con una carta di credito, schizzar via ed essere, in un baleno, letteralmente dovunque, sono stato costretto a riguardare al mondo come a un intreccio complicato di Paesi divisi da bracci di mare che vanno attraversati, da fiumi che vanno superati, da frontiere per ognuna delle quali occorre un visto; e un visto speciale che dica <<via terra>>, come se questa via, specie in Asia, fosse nel frattempo diventata così insolita da rendere automaticamente sospetto chiunque si ostini a usarla.
Spostarsi non è stato più questione di ore, ma di giorni, di settimane. Per non fare errori, prima di mettermi in viagio, ho dovuto guardare bene le carte, rimettermi a studiare la geografia. Le montagne sono tornate ad essere possibli ostacoli sul mio cammino e non più delle belle, irrilevanti rifiniture in un paesaggio visto dall'oblò.
Il viaggiare in treno o in nave, su grandi distanze, m'ha ridato il senso della vastita del mondo e soprattutto, m'ha fatto riscoprire un'umanità, quella dei più, quella di cui uno, a forza di volare, dimentica quasi l'esistenza: l'umanità che si sposta carica di pacchi e  di bambini, quella cui gli aerei e tutto il resto passano in ogni senso sopra la testa.
Impormi di non volare è diventato un gioco pieno di sorprese. A far finta, per un po', d'essere ciechi si scopre che, per compensare la mancanza della vista, tutti gli altri sensi si affinano. Il rifiuto degli aerei ha un effetto simile: il treno, con i suoi agi di tempo e i suoi disagi di spazio, rimette addoso la disusata curiosità per i particolari, affina l'attenzione per quel che si ha attorno, per quel che scorre fuori dal finestrino. Sugli aerei presto si impara a non guardare, a non ascoltare: la gente che si incontra è sempre la stessa; le conversazioni che hanno sono scontate. In trent'anni di voli mi pare di non ricordarmi di nessuno. Sui treni, almeno quelli dell'Asia, no! L'umanità con cui si spartiscono i giorni, i pasti, la noia non la si incontrerebbe altrimenti e certi personaggi restano indimenticabili.
Appena si decide di farne a meno, ci si accorge di come gli aerei ci impongon la loro limitata percezione dell'esistenza; di come, essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per scorciare tutto: anche la comprensione del mondo. Si lascia Roma al tramonto, si cena, si dorme un po' e all'alba si è già in India. Ma un paese è anche tutta una sua diversità e uno deve pur avere il tempo di prepararsi all'incontro, deve pur fare fatica per godere della conquista. Tutto è diventato così facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se è legato a uno sforzo. Così con i paesi. Leggere una guida, saltando da un aereoporto all'altro, non equivale alla lenta, faticosa acquisizione - per osmosi - degli umori della terra cui, con il treno, si rimane attaccati.
Raggiunti in aereo senza un minimo sforzo nell'avvicinarli, tutti i posti diventano simili: semplici mete sparse tra loro solo da qualche ora di volo. Le frontiere, in realtà segnate dalla natura e dalla storia e radicate nella coscienza dei popoli che ci vivono dentro, perdono valore, diventano inesistenti per chi arriva e parte dalle bolle ad aria condizionata degli aeroporti, dove il <<confine>> è un poliziotto davanti allo schermo di un computer, dove l'impatto con il nuovo è quello con il nastro che distribuisce i bagagli, dove la commozione di un addio viene distratta dalla bramosia del passaggio obbligato attraverso il duty free shop, ormai uguale ovunque.
Le navi si avvicinano ai Paesi entrando con lento pudore nelle bocche dei loro fiumi; i porti lontani tornano ad essere delle agognate destinazioni, ognuna con la sua faccia, ognuna con il suo odore. Quel che un tempo si chiamavano i terreni d'aviazione erano anche loro un po' così. Oggi non più. Gli aeroporti, falsi come i messaggi pubblicitari, isole di relativa perfezione anche nello sfacelo dei Paesi in cui si trovano, si assomigliano ormai tutti; tutti parlano nello stesso linguaggio internazionale che dà a ciascuno l'impressione di essere arrivato a casa. Invece sì è solo arrivati in una qualche periferia da cui bisogna ripartire, in autobus o in taxi, per un centro che è sempre lontanissimo.
Le stazioni invece no, sono vere, sono specchi delle città nel cui cuore sono piantate. Le stazioni stanno vicino alle cattedrali, alle moschee, alle pagode o ai mausolei. Una volta arrivati lì, si è arrivati davvero"

Tiziano Terzani - Un indovino mi disse

Questo è uno dei primi paragrafi del primo capitolo de "Un indovino mi disse". Storia di una scelta irrazionale, scelte che ogni tanto dovremmo fare un po' tutti: dare adito alla previsione di un'indovino di Hong Kong, il quale gli diceva di non volare per tutto il 1993 o sarebbe morto. Bene, in questo giorno di Aprile londinese, in cui la pioggia non da tregua, il lavoro non lo vedrò per altre 72 ore almeno, mi trovo a meditare davanti ad una tazza di cioccolata calda fatta in casa, una manciata di biscotti e della musica blues del profondo Sud degli States.

Decido che un buon libro è quello che ci vuole in questo giorno di primavera solo per il calendario: Tiziano Terzani è la mia scelta. Dopo qualche pagina mi ritorna in mente questo passaggio. Estremo pure per me che adoro viaggiare alla buona.Oramai, vivendo nella capitale della velocità e del tutto e subito, seconda solo a New York, sono così abituato a ritmi serratissimi, ai negozi 24/7, alla città che non dorme mai (o quasi) e a i weekend mordi e fuggi in Italia. Recentemente due viaggi mi hanno fatto meditare. Il primo in occasione della dipartita di un affetto mi sono ritrovato da un giorno con l'altro con in mano un biglietto A/R per lo stesso giorno. Quindi, prenotato il biglietto dal lavoro, partito alla volta dell'Italia, tornato, breve riposo e di nuovo a lavoro. Pazzesco. Il secondo è stato qualche weekend fa, dove la dinamica non è stata tanto diversa, se non per il fatto che il tempo era diluito nel weekend. Ma un gran dettaglio che mi ha fatto pensare a quanto vero fosse il pezzo sopra, e quanto mi faccia desiderare di partire per un viaggio (che purtroppo non posso fare stile di vita dato che non sono un giornalista come il buon Tiziano): questo giro dopo il lavoro ho preso l'aereo alla volta di Milano dove, dopo un breve sonnellino a casa, ho preso un treno per Bologna. Non il Frecciarossa, che non ho soldi, ma un bellissimo regionale che "ferma a tutte le stazioni" che equivale a metterci esattamente il doppio del tempo rispetto al volo da Londra a Milano. Il doppio del tempo per fare un decimo della distanza. E sul viaggio di ritorno ho "incontrato" una donna Ecuadoregna, in Italia da 4 anni e un ragazzo Argentino, in vacanza, beh di loro mi ricordo. Delle chiacchiere scambiato in un misto di italiano spagnolo ed inglese, di come davvero sembra di toccare le vite delle persone che incontri. E forse anche la disposizione dei sedili che aiuta. Non sono batterie di posti serrati direzionati tutti verso la meta, ma "spaziosi" quadrati di 8 posti in cui la gente si può guardare in faccia. Non piccoli oblò davanti a cui affollarsi per ammirare lo spettacolo delle città viste dall'alto, ma grandi finestroni dal quale osservare la vita che corre ai lati della strada ferrata e davanti ai quali l'unica folla che si crea è quella dei pensieri che il ritmico rumore delle ruote produce, per molti una scocciatura. Il gusto della vita assaporata. Il darsi del tempo. Il tempo necessario per meditare, il tempo per comprendere, il tempo per conoscere davvero. Quel tempo che stiamo perdendo perchè tutto deve essere veloce e l'unica conoscenza che ci permettiamo è quella di documentari alla televisione che condensano in un'ora informazioni contenute in centinaia di pagine di libri. Libri che oramai non leggiamo più, perchè obsoleti, e la nostra conoscenza è composta da tanti piccoli punti che non riusciamo più a connettere per bene tra loro, creandoci sistemi di informazioni distorti perchè ci siamo creati una cultura degli episodi, in cui abbiamo perso l'idea del disegno generale. Ma questo è un altro argomento e sto lasciando andare i pensieri troppo lontano.

Nel caso qualcuno volesse fare un viaggio, me lo faccia sapere. Al momento ho in mente un paio di cose.
Con calma.